martedì 19 novembre 2013

LE RIFLESSIONI DI UN GIUSLAVORISTA SULLE PRIORITà CONDIVISIBILI DI UNA SANA POLITICA GOVERNATIVA

di PAOLO EMILIO ROSSI


SOMMARIO:


1. L’allarme sociale ed economico per una recessione dura ad essere vinta. – 2. Un unicum storico della peggiore crisi della produzione, dell’occupazione, dei consumi nonché di un tenore di vita per molti vicino alla povertà. – 3. IRAP e costo del lavoro da ridurre subito. – 4. L’economia reale e la dignità delle famiglie nell’impegno della Repubblica in favore delle nuove generazioni. – 5. Un patto tra imprenditori e organizzazioni sindacali contro la persistente recessione. – 6. Le riforme istituzionali nell’interesse generale e per l’effettività del bene comune. – 7. Solidarietà e sussidiarietà nei rapporti finanziari tra gli Stati membri dell’Unione europea. 


1. L’allarme sociale ed economico per una recessione dura ad essere vinta

Il 12 aprile 2013, a Torino, si è tenuto il Convegno della Confindustria, nel quale è esploso un grido di rabbia con un minuto di silenzio per chi ha perso l’impresa e per chi resiste nel traballante palco delle "Piccole e Medie Imprese" (PMI), dove motore della crescita rimane pur sempre il manifatturiero. I piccoli imprenditori hanno puntato il dito della irresponsabilità consapevole dell’emergenza economica nei confronti di quanti si attardano nell’allontanare l’odierna assoluta centralità del problema della sopravvivenza. Sono emerse, a tutto campo, l’ansia dei piccoli imprenditori riguardo all’ipotesi di dover chiudere attività e impianti e le incertezze del quotidiano delle stesse coinvolte famiglie, che avvertono l’impoverimento delle loro proprie ed esclusive risorse e, di conseguenza, la drastica caduta di un certo già consolidato stile di vita.

Questi ultimi "horribiles" anni sono stati consumati nel modo peggiore da parte di un sistema politico paralizzato da veti e pregiudizi reciproci, tanto da risultare incapace di quello slancio di dignità patriottica, che, nel passato e in analoghi momenti drammatici della nostra storia, aveva determinato unanimemente a mettere al primissimo posto l’imperdibile interesse generale del Paese. Nel Rapporto Censis per il 2012, De Rita afferma, nelle Considerazioni generali (Cfr. p. XIII): a) siamo sopravvissuti a venti anni di Seconda Repubblica con Governi dichiaratamente decisionisti, nei fatti però incapaci di connettersi ai processi reali della società e delle persone; b) siamo sopravvissuti a dieci anni di crisi, dal 2001 a oggi, con nessun intervento di governo che la abbia significativamente contrastata; c) siamo sopravvissuti all’annus horribilis, cioè il 2011, con la caduta verticale del peso internazionale del nostro Governo e della stessa nostra autonoma sovranità; d) siamo sopravvissuti alla logica di governo «altro e pedagogico» dell’esperienza del Governo tecnico; e) sopravviveremo verosimilmente anche ai probabili e/o improbabili Governi del prossimo futuro. Qualcuno avverte, intanto, il pericolo che in una tale situazione possano maturare, da una parte poteri oligarchici, e dall’altra, tentazioni di populismo.

A questo punto – pone in evidenza il Rapporto – è possibile rilevare alcune tendenze: a) nella crescente propensione a razionalizzare l’assetto del territorio sarebbe maturata l’attenzione alla riduzione del consumo di suolo, alla rifunzionalizzazione delle aree dismesse, alla riqualificazione urbana, al risparmio energetico; b) nel dramma dell’esplosione del precariato giovanile si è andata affermando una maggiore ricerca di percorsi di studio a più elevato differenziale competitivo e un riorientamento verso percorsi di formazione tecnico-professionale delle prospettive di inserimento occupazionale più certe; insieme alla riduzione delle immatricolazioni ai corsi universitari di tipo umanistico-sociale e alla crescente inclinazione dei giovani a compiere gli studi universitari o esperienze di lavoro all’estero; c) si è ridimensionata la capacità di penetrazione nei tradizionali mercati esteri del made in Italy (tessile, abbigliamento-moda, alimentare, mobile-arredo), ma stanno aumentando le quote di mercato dell’Italia nelle aree emergenti del mondo grazie ad altre specializzazioni produttive (metallurgia, chimica, farmaceutica). In proposito, nel messaggio inviato dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, al Presidente di Confindustria e a quello di piccola industria in occasione del citato convegno dedicato al tema "Un’Italia industriale in una Europa più forte", si sottolinea l’esigenza di un rilancio del comparto manifatturiero quale elemento essenziale della ripresa dello sviluppo economico del nostro Paese. «Le grandi risorse di competenza tecnica e di capacità imprenditoriale che si esprimono nella produzione manifatturiera costituiscono un potenziale dello sviluppo delle’economia e di crescita dell’occupazione che deve essere ulteriormente valorizzato». Del resto, il monito lanciato dal Rapporto del "Centro studi di Confindustria" è stato quello per cui «senza unità e senza industria l’Ue è destinata a essere irrilevante sullo scacchiere economico e a condannarsi a un progressivo impoverimento». Nel secondo capitolo del Rapporto, a firma di Gianni Tognolo, si invita l’Ue a puntare sulle armi di cui è dotata per affrontare la competizione globale: una distribuzione dei redditi meno diseguale, un sistema energetico più efficiente e compatibile con l’ambiente, una migliore organizzazione dell’istruzione primaria e secondaria, costi sanitari meno esplosivi e relativamente sotto controllo. 

Circa, poi, gli effetti distorti del modello di contrattazione collettiva, si osserva come lo spread di produttività frenerebbe la competitività delle imprese italiane, denunciandosi così l’anacronistico sistema di contrattazione salariale fortemente centralizzato. E invero, «in Italia c’è stata una significativa disconnessione tra la dinamica della produttività e quella dei salari che ha portato ad un costo del lavoro per unità di prodotto in forte aumento dal 2000 in poi». Senonché, lo sviluppo della contrattazione aziendale, di cui all’accordo interconfederale del 28 giugno 2011, ha costituito un fattore determinante per miglioramenti nei meccanismi di remunerazione, rafforzando l’allineamento tra le retribuzioni e la produttività, soprattutto allorquando gli aumenti salariali restano collegati direttamente a miglioramenti dell’organizzazione produttiva a livello aziendale.

La recessione deve poter essere vinta con un’iniezione di fiducia in un complesso economico delle forze della produzione e del lavoro, dove si riannodino le offerte di prodotti e le domande dei medesimi, superando, con una spinta di ragionato ottimismo, l’attuale stallo nel governo del nostro Paese. Non è più moralmente accettabile che si protraggano investimenti e consumi e che si lasci che l’economia si avvolga nella spirale di una recessione solo da sopportare, ancorché soffocante e irrimediabilmente impoverente. 

È un dovere inderogabile dei partiti politici che occupano il Parlamento, quello dell’adempimento di comportamenti volti ad attuare a pieno la solidarietà politica, economica e sociale (art. 2 Cost.). Vigilantibus, non dormientibus iura succurrunt! Suum cuique tribuere!




2. Un unicum storico della peggiore crisi della produzione, dell’occupazione, dei consumi nonché di un tenore di vita per molti vicino alla povertà




Di fronte a una situazione bloccata per la mancanza di una maggioranza nel Senato al fine di consentire che un Governo possa costituirsi in virtù di fiducia accordata da entrambe le Camere del Parlamento, soltanto il Capo dello Stato è risultato operativamente vigilante per il bene del Paese. Dapprima, sollecitando ripetutamente – ma purtroppo invano – la riforma della squallida e incostituzionale legge elettorale, eufemisticamente definita "porcellum"; successivamente, dopo le votazioni del 24 e 25 febbraio 2013, premendo sui partiti perché si giungesse alla formazione di un Governo da larghe intese, trovando poi conferma riguardo a una tale ipotesi dalle relazioni finali del "Gruppo di Lavoro sulle riforme istituzionali" e del "Gruppo di Lavoro in materia economico-sociale ed europea", istituiti il 30 marzo 2013 dallo stesso Presidente della Repubblica. 

Da parte dei c.d. dieci "saggi" è stato realizzato l’obiettivo di individuare un percorso condivisibile tanto sul fronte delle riforme istituzionali, quanto sul fronte delle politiche economiche attive, per cui, al momento, soltanto da volontà collaborative tra i partiti potrà scaturire la formazione di quel nuovo Governo, di cui il Paese ha urgentissimo bisogno. Si è apprezzato il loro metodo di lavoro, quale prova di attitudine al dialogo, al confronto e alla condivisione, sostanziandosi in un contributo finale, concreto e significativo. Ora, l’esplicito apprezzamento del lavoro svolto dai dieci "facilitatori" ha nullificato le superficiali critiche che da più parti erano piovute circa l’iniziativa assunta da Napolitano, dopo che questi era stato costretto a constatare, nel suo preliminare giro di consultazioni, l’oggettiva impossibilità a coagulare una maggioranza attorno a un nuovo Governo. Sicchè, si è trattato di una selezione delle questioni di maggior rilievo da affrontare nell’uno e nell’altro campo, in altri termini della stesura di un elenco ragionato di possibili linee di azione governativa. 

Quello redatto è, dunque, un dettagliato elenco di priorità, utile per le scelte, alle quali dovrà pervenire il nuovo Capo dello Stato. È un lascito politico che il Presidente della Repubblica uscente consegna al suo prossimo successore, e che attua un metodo che potrà tornare utile per rendere meno incerte e gravose le future stagioni di scontri partitico-politici. Senonché, con felice sorpresa, apprendiamo, in data 20 aprile 2013, che il subentrante nella magistratura della Presidenza della Repubblica è lo stesso uscente Giorgio Napolitano, eletto dall’assemblea dei grandi elettori del Parlamento e dei delegati regionali con 738 voti su 989 votanti. Egli inizia il nuovo mandato dal giorno 22 aprile 2013 dopo il rinnovato giuramento ex art. 91 della Costituzione; e ciò è importante perché è da quest’ultimo momento che il Presidente della Repubblica è entrato, sia pure in continuità, nell’esercizio delle sue piene funzioni, le quali, non operando il c.d. semestre bianco di cui all’art. 88, secondo comma, della Costituzione, possono essere esercitate legittimamente anche con il potere di sciogliere le Camere o una sola di esse.

Ci corre l’obbligo di esprimere il nostro più alto sentimento di gratitudine al "Presidente di tutti gli italiani", Giorgio Napolitano, fiero interprete della coscienza nazionale, al di sopra e al di là degli interessi di parte.

La lettura dell’AGENDA POSSIBILE, elaborata dal "Gruppo di Lavoro in materia economico-sociale ed europea", ci ha confermato a tutto tondo, la bontà di un documento, che ha inscritto le misure di politica economico sociale nei due obiettivi di fondo: riavviare lo sviluppo economico, renderlo più equo e sostenibile. Gli obiettivi immediati e, quindi, imprescindibili, sarebbero quelli volti al mantenimento della coesione sociale, alla tutela dei risparmiatori, al rispetto della Costituzione italiana e delle regole dell’Unione europea. Ora, per quanto riguarda il primo di detti obiettivi si afferma come sia cruciale il rapporto tra classe politica, pubblica amministrazione e cittadini. In proposito, si denuncia l’inefficienza degli uffici pubblici e la loro colpevole sordità alle legittime richieste della popolazione, la quale ha avvertito una dilagante corruzione contro la quale occorre procedere con urgenza, posto che è in pericolo la stessa democrazia.

L’obiettivo, poi, della tutela dei risparmiatori viene risolto nell’azione di garanzia della sostenibilità del debito pubblico proprio al fine di assicurare che le famiglie non solo italiane ma anche quelle di immigrati regolari non vedano evaporare parte dei propri risparmi. Si rende avvertiti, inoltre, del fatto che mantenere l’impegno all’equilibrio di bilancio è reso più difficile a ragione dell’indebolimento della capacità dell’economia italiana di generare reddito. Infine, l’obiettivo del rispetto della Costituzione italiana e delle regole dell’Unione europea deve avere, come premessa ineludibile, la recente modificazione della stessa Costituzione, diretta a garantire meglio l’equilibrio tra le entrate e le spese pubbliche e a evitare che si seguano comportamenti, "allegri e irresponsabili", nella gestione di bilancio pubblico come quelli che hanno determinato la situazione attuale di un debito dello Stato superiore ai duemilamiliardi di euro. Il Gruppo ha così ritenuto che gli attuali livelli della spesa pubblica e delle entrate in rapporto al PIL siano dei limiti massimi da ridurre nel tempo. La raccomandazione formulata è stata espressa con l’avvertenza di destinare qualunque sopravvenienza finanziaria alla priorità dell’emergenza "lavoro" e del sostegno alle persone in grave difficoltà economica. E ciò nella forma di un alleggerimento dell’imposizione diretta sul "lavoro", a partire dai giovani e dalle fasce di reddito più basso nonché dal sostegno alle famiglie più povere.

Le proposte avanzate con effetti prevalenti sulla crescita economica sono state sintetizzate dal Gruppo nei seguenti capitoli di manovra governativa: a) fare arrivare il credito alle piccole e medie imprese (PMI) e completare il pagamento dei debiti commerciali della pubblica amministrazione; b) rilanciare il ruolo dell’Italia negli scambi internazionali; c) favorire la ricerca, l’innovazione e la crescita delle imprese; d) migliorare il sistema tributario; e) aprire alla concorrenza, tutelare meglio i consumatori; f) lavoro e condizioni sociali delle famiglie, rifinanziando gli ammortizzatori sociali in deroga, affrontando la grave questione dei cosiddetti "esodati", stabilizzando l’agevolazione fiscale della "retribuzione di produttività", valutando le diverse ipotesi relative all’eventuale introduzione di un reddito minimo di inserimento, da inserire in un quadro complessivo dell’assistenza e, infine, migliorando le relazioni industriali mediante una nuova disciplina della rappresentatività sindacale, della partecipazione dei lavoratori nell’impresa favorendo l’azionariato dei lavoratori; g) potenziare l’istruzione e il capitale umano. Inoltre, sono state avanzate proposte con effetti prevalenti sulla dimensione ambientale, segnalando l’urgenza di migliorare l’ambiente e aumentare l’efficienza energetica. Un apposito capitolo ha toccato l’esigenza di migliorare la legislazione e il funzionamento della pubblica amministrazione, affrontando i seguenti temi problematici: a) aumentare l’efficienza delle amministrazioni pubbliche per fornire migliori servizi alle imprese e ai cittadini; b) migliorare la legislazione e consolidare la certezza del diritto; c) sviluppare posizioni chiare e lungimiranti con la presenza italiana nell’Unione europea; d) affrontare la questione meridionale e la questione settentrionale. 

Per quanto riguarda l’azione governativa volta a creare e sostenere il lavoro, il Gruppo in discorso si è concentrato esclusivamente su alcune proposte dirette a migliorare condizioni negative che affliggono talune categorie della popolazione, quali le donne, i giovani e i lavoratori a basso reddito, rimarcando anche l’urgenza di migliorare le relazioni industriali al fine di rafforzare la coesione sociale. 

Un paragrafo a sé stante è dedicato al sostegno della famiglia, chiamata a svolgere una faticosa funzione di supplenza, tanto da essere considerata il principale "ammortizzatore sociale" del Paese. È stata così segnalata l’opportunità di ripensare l’attuale sistema fiscale allo scopo, da una parte, di riequilibrare l’attuale dinamica demografica, tendendo almeno ad eliminare i disincentivi esistenti, di fatto, per i nuclei familiari; dall’altra, di riconsiderare la fiscalità sulle abitazioni. Sempre tenendo conto delle necessità di sostenere le famiglie, si è particolarmente sottolineata l’urgenza di rifinanziare entro il mese di giugno il meccanismo degli ammortizzatori sociali in deroga per il secondo semestre dell’anno 2013 (più di un miliardo di euro, da valutare in funzione dell’evoluzione della situazione economica). L’obiettivo, inoltre, di rilanciare il ruolo dell’Italia negli scambi internazionali troverebbe un’occasione unica da non perdere nel fatto che nel 2015 l’Italia organizzerà in Milano l’Esposizione Universale (EXPO), evento questo al quale parteciperanno oltre 130 Paesi, con un investimento di circa 1,5 miliardi di euro, quasi totalmente spesi sul territorio italiano. L’EXPO deve divenire un’occasione politico-economica unificante il rilancio negli scambi internazionali del nostro Paese.

Sull’opportunità politica di rivedere la struttura dei livelli retributivi delle figure apicali e dirigenziali delle amministrazioni pubbliche si auspica il rafforzamento del monitoraggio sull’effettiva attuazione della norma di parametrazione di quelle retribuzioni alla retribuzione del primo Presidente della Corte di Cassazione. 




3. IRAP e costo del lavoro da ridurre subito




Per arrestare la recessione e avviare la ripresa soprattutto nel campo dell’occupazione, specie delle donne e dei giovani, si auspica da più parti interventi sul mercato del lavoro attraverso un più stretto e continuo dialogo con le parti sociali. Al centro del dialogo è stata posta la constatazione, secondo la quale, poiché l’attesa ripresa, a far tempo dal 2014, potrebbe caratterizzarsi da incertezze sulla sua durata e intensità, vi potrebbe essere il rischio che le imprese assumano comportamenti prudenti nel procedere ad assunzioni a tempo indeterminato. Consegue che sarebbe utile riconsiderare le attuali regole restrittive nei confronti del lavoro a termine, almeno fino al consolidamento delle prospettive di crescita economica.

Contemporaneamente alla presentazione della citata "AGENDA POSSIBILE" del Gruppo di lavoro in materia economico-sociale ed europea, si è svolta, sempre nell’ambito del Convegno biennale di Confindustria, organizzato da "Piccola Industria", una tavola rotonda sul tema: "Quali politiche per l’economia reale e per l’Europa". Qui si è rilanciato l’intento di pervenire a un patto degli imprenditori, che veda, insieme con le organizzazioni sindacali dei lavoratori, definita un’agenda per la competitività. Il punto di riferimento sarebbe il documento che Confindustria ha redatto nel gennaio 2013 e che ha presentato alle forze politiche. Il vice presidente di Confindustria per il Centro studi, Fulvio Conti, ha detto in proposito: «Abbiamo bisogno di due cuochi esperti e solidali, cioè le parti sociali, imprese e sindacati e un governo stabile che ascolti e che possa attuare questa ricetta». Quel richiamato documento prevede una terapia d’urto per i primi cento giorni e riforme strutturali che abbiano effetto nel medio termine. Sarebbe – a giudizio di Conti – una manovra a saldo 0, che darebbe una spinta notevole al manifatturiero. L’auspicio formulato dallo stesso Conti è che si attuino subito quelle misure che possano ridurre i costi per le imprese, come l’Irap sul costo del lavoro o la detassazione dei salari di produttività, oltre agli interventi per sbloccare la liquidità, affrontando il credit crunch, che può essere superato se lo Stato paghi i suoi debiti. Mettendo l’impresa al centro dell’economia reale, il documento di Confindustria, ove venisse applicato nella sua interezza propositiva, potrebbe mobilitare 316miliardi di euro di risorse pubbliche e aiutare l’Italia ad uscire dalle secche della crisi. Questa, invero, va superata non soltanto colmando i gap nei confronti delle migliori realtà europee, ma principalmente contribuendo a creare un’Europa più unita, compatta, capace di trasformare problemi nazionali in soluzioni globali. Secondo Conti, «L’Europa deve essere il nostro punto di riferimento e l’ancoraggio forte delle nostre politiche».

Anche il Gruppo di lavoro in parola ha svolto analoghe considerazioni e prospettive al fine, per l’appunto, di agevolare fiscalmente le retribuzioni di produttività, stabilizzando l’attuale meccanismo di agevolazione fiscale operante sulla parte accessoria della retribuzione dei lavoratori del settore privato. Tale agevolazione, poi, potrebbe essere ulteriormente estesa, riguardando la quota parte di salario destinata a remunerare la qualità della prestazione. E ciò potrebbe concretizzarsi con una più accorta e moderna contrattazione collettiva aziendale.




4. L’economia reale e la dignità delle famiglie nell’impegno della Repubblica in favore delle nuove generazioni




Dopo la globale ubriacatura della truffaldina finanza internazionale insieme con l’incoscienza, nella più imputabile incompetenza in materia finanziaria, di molti amministratori anche locali della cosa pubblica, c’è oggi il grido di molti connazionali che mordono gli stenti della vita quotidiana per una crisi che ha avuto origine da una dismissione politica dell’economia reale e da ruberie diversificate, nei modi e nelle quantità del denaro pubblico. 

Una situazione questa, di cui nessun responsabile della cosa pubblica si è vergognato, né si vergogna, addebitando, da crudi mestatori, invece, la colpa dei danni provocati su altri del tutto innocenti. 

Per dare un segno di una profonda lesione del dovere di solidarietà economica secondo l’imperativo dettato dall’art. 2 della Costituzione, ci basta riferire dell’intervento del 15 aprile 2013 del presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, che ha denunciato il personale sconcerto sul fatto che le banche pongono tassi alti nei confronti delle piccole imprese, determinando una inconcepibile sofferenza delle medesime, dalle quali comunque sono assicurati tre quarti dell’occupazione. La strigliata di Draghi, che ha parlato, per l’appunto di «sconcertante mancanza di crediti» alle Pmi, è avvenuta all’interno di una prospettiva di via d’uscita dalla crisi, nella quale il forte richiamo alla competitività dei fattori dell’economia reale è stato strettamente collegato al perseguimento di ben conosciute riforme strutturali del nostro Paese. È stato avvedutamente ricordato, d’altro canto, come la stretta del credito sull’economia italiana stia diventando sempre più soffocante e come sia urgente compiere tutto il possibile politico per allentarla.

Sulla base delle considerazioni che precedono, avvertiamo la necessità che le istituzioni tutte repubblicane rispettino, con pura coscienza, la dignità delle famiglie a causa di quell’impegno ineludibile che la Repubblica è tenuta a realizzare anche e soprattutto in favore delle nuove generazioni, purtroppo malamente derubate. Certo, è l’economia reale delle famiglie a dover essere sostenuta per risollecitare la domanda interna di beni e di servizi, incentivando prestazioni assistenziali non monetarie anche al fine di scongiurare il rischio che, dati i vincoli di finanza pubblica, l’assistenza si concentri nelle situazioni più gravi, restringendo gli interventi sociali, quali quelli di accompagnamento promozionali, preventivi, ambientali nonché di comunità. 

In particolare, è stato sottolineato come il settore dell’assistenza domiciliare rimanga un settore non coordinato col sistema integrato dei servizi e con la rete di welfare locale e comunitario e come risulti caratterizzato dalla scarsa qualificazione e da un’alta discontinuità dell’assistenza. D’altra parte, il dovere di difendere la dignità delle famiglie rafforza l’urgenza di una diminuzione del costo del lavoro, in quanto questa stimolerebbe la competitività e fornirebbe quell’impulso alla domanda interna, che si rende necessario sollecitare a causa dell’attuale fase di acuta e prolungata recessione che l’economia italiana continua ad attraversare. In questo quadro è senz’altro valido il suggerimento di definire un sistema di alternanza scuola-lavoro, idoneo a consentire il miglioramento della situazione di quei giovani che non lavorano e che, al tempo stesso, neppure studiano. Al riguardo, sono state avanzate talune proposte che prevedrebbero l’obbligatorietà di periodi di alternanza scuola-lavoro in qualsiasi percorso formativo successivo all’età dell’obbligo scolastico, ivi compresa l’università, sulla base di apposite convenzioni con le imprese, le soggettività pubbliche e private, incluse quelle del Terzo Settore. Si tratterebbe, però, di periodi non costituenti rapporti individuali di lavoro e che, viceversa, andrebbero valutati e certificati, così da fornire ai giovani coinvolti, oltre alla conoscenza di base, competenze immediatamente spendibili sul mercato del lavoro.




5. Un patto tra imprenditori e organizzazioni sindacali contro la persistente recessione




Nel corso della grande adunata degli imprenditori delle piccole e medie imprese a Torino il 12 aprile 2013, accolti dall’inno di Mameli a riprova che l’industria è la priorità nazionale, Vincenzo Boccia, nel suo intervento, ha definito, per l’appunto, l’industria come «la forza del Paese» e dalla città di Torino, simbolo dell’industria italiana, ha lanciato «un grido di rabbia e di speranza»: speranza perché si può uscire dalla crisi, rabbia perché non si stanno attuando le scelte per riprendere a crescere. Di fronte ad una politica latitante, la proposta di Boccia è stata formulata avanzando l’ipotesi di un patto dei produttori, tra tutti gli attori della fabbrica per ricostruire il Paese. Si è trattato di gettare un ponte verso il sindacato presente al Convegno nelle persone dei leader di Cgil, Susanna Camusso, e di Cisl, Raffaele Bonanni. L’auspicio proclamato è stato quello di indicare come "insieme" sarà possibile salvare le fabbriche e l’Italia; sempre "insieme" sarà possibile tornare a quello spirito del dopoguerra, capace di scrivere un’agenda della competitività nella consapevolezza che una nazione senza fabbriche è una nazione senza lavoratori e senza imprenditori. Quello di Boccia è stato un appello rivolto alle forze politiche del nostro Paese, formulando ai partiti cinque domande così declinate: «Cosa intendete fare per ridurre il global tax rate delle imprese italiane? Cosa sui costi dell’energia?Cosa su debito e quindi sullo spread?Quali grandi infrastrutture dare all’Italia e come procedere per realizzare le piccole opere? Quando ridurre il cuneo fiscale e agevolare il recupero della produttività?». I deficit di competitività del sistema italiano – ha poi aggiunto Boccia – sono i deficit di competitività delle imprese, atteso che «le stiamo distruggendo, andare avanti così vuol dire portare alla paralisi il sistema industriale italiano». Un’Italia industriale, allora, in un Europa più forte! A questo punto, dobbiamo segnalare come il Gruppo di lavoro in discorso, abbia denunciato la circostanza per cui l’attuale legislazione sulle relazioni industriali dovrà essere rivisitata per ridurre i conflitti sociali. Pertanto, l’auspicato patto tra le parti sociali nello specifico settore produttivo dell’industria dovrà trovare un sostegno esplicito nell’azione del nuovo Governo in carica attraverso l’aumento di 2miliardi di euro del Fondo Centrale di Garanzia, che potrebbe consentire maggiori finanziamenti alle piccole e medie imprese per oltre 30miliari di euro, senza incidere significativamente sui conti pubblici nel biennio 2013-2014. L’efficacia di un tale intervento potrebbe essere ulteriormente aumentata consentendo al predetto Fondo di allentare i criteri di accettabilità delle imprese su cui estendere la propria garanzia, tenendo conto del fatto che, con due gravi recessioni in cinque anni, i benchmark di bilancio che consentono di definire "sana" un’azienda non possano essere più quelli tipici di una fase ciclica espansiva. 




6. Le riforme istituzionali nell’interesse generale e per l’effettività del bene comune




La nostra Corte costituzionale, nella sua giurisprudenza stimolata dal processo di integrazione europea, suole distinguere tra costituzione formale e costituzione materiale, intendendo rispettivamente le disposizioni contenute nella Carta e i principi supremi che identificano il nostro sistema politico. Le prime sono suscettibili di revisione costituzionale, i secondi sono sottratti alla vita giuridica e possono essere rivisti solo attraverso eventi politici che segnino la fine dell’attuale Repubblica italiana e il sorgere di uno Stato diverso. È pacifico che, se la forma repubblicana e altri principi fondamentali che la Consulta si riserva di desumere in via interpretativa dalla Carta costituzionale compongono quel corpus giuridicamente immutabile, altrettanto non vale per gli assetti istituzionali dello Stato. Ciò è, oltre che opportuno, necessario a consentire l’evoluzione del Paese, dal momento che la forma di governo di una qualsiasi persona giuridica (anche di diritto privato) si esaurisce nello studio di una distribuzione dei poteri decisori tra i diversi organi che la compongono, volta ad instaurare differenti rapporti ed equilibri tra questi secondo le esigenze contingenti, alle quali si può far fronte vuoi con una concentrazione del potere (per velocizzare la capacità di azione e reazione), vuoi attraverso la sua diluzione tra più organi (per garantire il concorso di più volontà e il bilanciamento di più interessi nella decisione).

Al mutare delle esigenze, che si affacciano o che vengono ora percepite come preponderanti, è doveroso reagire adeguando anche il sistema di governo; e conferma che ciò rientri nel nostro sistema costituzionale ci viene dal fatto che, come già detto, la parte II della Costituzione dedicata all’ordinamento della Repubblica è ben lungi dal rientrare tra i principi supremi intangibili. Si badi che, come l’attuale incertezza politica rende a tutti evidente, da un sistema di governo adeguato alla realtà in cui si muove lo Stato italiano dipende il benessere dei cittadini, in quanto le risposte alle loro pretese possono essere ponderate e fornite solo se gli organi a ciò deputati sono in grado di lavorare in modo efficiente. Non è nostra intenzione indagare qui quali possano essere le soluzioni, cioè le alternative al bicameralismo perfetto e alla ripartizione di funzioni tra Parlamento e Governo (se cioè sia più attuale ad esempio un sistema presidenziale o semipresidenziale, o se convenga che le disposizioni che promanano da Governo e Parlamento siano tra loro in rapporto non più gerarchico ma di diversa competenza), ma sollecitare il cambiamento, cioè stimolare una conversazione (si spera non tra sordi) sul merito della questione. Non solo: riteniamo che in una certa misura si possa, a questo punto di evidente disagio, invocare un dovere non solo morale, ma anche giuridico. 

L’art. 2 della Costituzione fonda il patto di cittadinanza sullo scambio tra i diritti inviolabili che la Repubblica riconosce e l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Se, come si è detto sopra, l’efficienza del sistema di governo condiziona il benessere di tutti, è espressione del generale dovere di solidarietà l’obbligo - al quale possiamo attribuire significato non meramente programmatico, ma immediatamente precettivo -, per chi ne ha il potere (cioè il Parlamento), di riformare l’assetto istituzionale, congedando prima di tutto il bicameralismo perfetto. Ne consegue che i componenti di Camera e Senato saranno gravati da un dovere costituzionalmente sancito di procedere alle riforme ormai improcrastinabili; devono, in quanto loro solo possono, consentire alla cittadinanza di vivere e rapportarsi ad uno Stato strutturalmente moderno. Certamente, ogni scelta sul merito di riforme così importanti dovrà essere democraticamente legittimata, cioè espressione della volontà del popolo sovrano. Non va però dimenticato come, a norma dell’art. 1, comma 2, della Costituzione, la sovranità si eserciti nelle forme, oltre che nei limiti, previsti dalla Costituzione stessa. Queste forme sono state plasmate sul modello della democrazia rappresentativa, non della democrazia diretta, essendo stato ritenuto che non è espressione massima di libertà il poter prendere parte ad ogni singola decisione che ci riguarda (cosa impraticabile fuori da un villaggio di cinquanta persone isolato dal mondo in mezzo a una foresta, e quindi ai limiti del ridicolo), quanto poter scegliere chi per noi deve prendere tali decisioni, secondo un sistema sociale fondato sulla divisione dei compiti. La democrazia, oggi, si esprime non letteralmente come "governo del popolo", bensì come legittimazione democratica di chi governa. E non siamo nemmeno tanto sicuri che tutto ciò possa essere rivisto, essendoci forse ostacoli che provengono (oltre che dal buon senso e dagli insegnamenti della storia) dall’art. 10, comma 1, della Costituzione, dal momento che nel diritto internazionale pubblico la democrazia indiretta costituisce uno di quei capisaldi degli Stati moderni di cui anche l’ONU si fa promotrice nel mondo. Bisogna però precisare il ruolo che deve assumere il parlamentare in una democrazia indiretta: non già di "nuncius", cioè di mero portavoce, ma di "procurator", cioè di rappresentante. La differenza sta nel fatto che un rappresentante non comunica una volontà altrui ma elabora una propria determinazione. Quindi, non latore ma ideatore, peraltro libero da ogni vincolo di mandato (art. 67 Cost.). Questo significa che in una democrazia indiretta i rappresentanti sono tenuti a fornire il proprio personale apporto alla discussione nell’arena politica e non se ne possono esimere facendosi scudo con la volontà di chi li ha eletti: una volta entrato in Parlamento, infatti, il rappresentante non è procuratore dei propri elettori ma dell’intera Nazione (art. 67 Cost.) e deve perseguire non l’interesse particolare di chi lo ha votato o della formazione politica di appartenenza, ma l’interesse comune secondo quella che è la propria interpretazione e sintesi. 

Dal combinato disposto degli artt. 54 e 67 della Costituzione, d’altronde, emerge che ogni membro del Parlamento ha un dovere giuridico di fedeltà verso la Repubblica, non verso il movimento politico cui appartiene.

Posto, quindi, che oggi il parlamentare è persona chiamata dalla cittadinanza ad essere gravato da questo dovere di riforma, è bene che chi si assume simile obbligo sia persona in grado di adempierlo.

La rilevanza, che assume una personale competenza negli ambiti dove le riforme sono destinate ad incidere, emerge nel momento in cui - ammettendo che vi sia un obbligo giuridico di solidarietà politica e sociale che si specifica verso la classe dirigente in questo momento nel dover riformare l’assetto istituzionale del Paese - quest’obbligo non dovesse essere adeguatamente adempiuto, cioè le soluzioni cui si addivenisse fossero gravemente carenti, perché sarebbe allora che costoro dovrebbero rispondere di tale inadempimento, visto che l’imperizia è una delle forme in cui viene tradizionalmente declinata la colpa; quindi, tale inadempimento sarebbe colposo per imperizia di una classe dirigente incompetente e, in quanto colposo, l’inadempimento esporrebbe gli obbligati a responsabilità non solo politica, ma anche giuridica. Trovandosi peraltro a lavorare per la Cosa Pubblica, il parlamentare deve contribuire all’osservanza del principio di buon andamento ex art. 97, comma 2, della Costituzione, che deve ispirare non solo l’organizzazione, ma anche l’attività dei pubblici uffici (cui, certo, il Parlamento non può ritenersi estraneo): senz’altro non risponde ai canoni di buon andamento un organo legislativo che spreca tempo e denaro nel discutere e approvare leggi che verranno poi annullate dalla Corte costituzionale per il fatto che chi adotta quelle norme ignora che oggi l’Italia non è più un ordinamento giuridico dove "quod principi placuit, legem habet vigorem", e ignora che la volontà che esso esprime deve rapportarsi a un gran numero di parametri di legittimità: nazionali (Costituzione italiana) e sovranazionali (Trattati UE nonché direttive e regolamenti UE, cui la giurisprudenza della Consulta riconosce forza subcostituzionale ma superlegislativa).

Le valutazioni fin qui espresse in termini di premessa teoretica aiutano a meglio decifrare quanto è stato scritto dal "Gruppo di lavoro sulle riforme istituzionali" soprattutto in tema di "rapporti Parlamento Governo". E infatti, il gruppo h convenuto all’unanimità che, qualora dovesse essere confermata la forma di governo parlamentare razionalizzata, occorrerà introdurre nel nostro sistema alcune innovazioni, e precisamente: a) dopo le elezioni, il candidato alla Presidenza del Consiglio, nominato dal Presidente della Repubblica sulla base dei risultati elettorali, si presenta alla sola Camera dei Deputati (nello scontato presupposto della riforma dell’attuale Bicameralismo paritario) per ottenere la fiducia; b) il giuramento e il successivo insediamento avvengono dopo aver ottenuto la fiducia della Camera; c) al Presidente del Consiglio, che abbia avuto e conservi la fiducia della Camera, spetta il potere di proporre al Capo dello Stato la nomina e la revoca dei Ministri; d) il Presidente del Consiglio può essere sfiduciato solo con l’approvazione a maggioranza assoluta, da parte della Camera, di una mozione di sfiducia costruttiva, comprendente l’indicazione del nuovo Presidente del Consiglio; e) il Presidente del Consiglio in carica è titolare del potere di chiedere al Presidente della Repubblica lo scioglimento anticipato della Camera dei Deputati, ma solo se non è già stata presentata una mozione costruttiva.

Il Gruppo di lavoro ritiene che l’attuale modello di bicameralismo paritario e simmetrico rappresenti una delle cause delle difficoltà di funzionamento del nostro sistema istituzionale. A tal fine, ha proposto che ci sia una sola Camera politica e una seconda Camera rappresentativa delle autonomie regionali (Senato delle Regioni). La Camera dei Deputati eletta a suffragio universale e diretto, è titolare dell’indirizzo politico, ha competenza esclusiva sul rapporto fiduciario, esprime il voto definitivo sui disegni di legge. Il Senato delle Regioni è costituito da tutti i presidenti di regione e da rappresentanti delle Regioni eletti da ciascun Consiglio Regionale in misura proporzionale al numero degli abitanti della Regione. Detto Senato assorbirebbe le funzioni della Conferenza Stato-Regioni e parteciperebbe al procedimento legislativo, mentre, salve talune eccezioni, le leggi rimarrebbero discusse e approvate dalla Camera. 

Il bicameralismo resterebbe paritario per le leggi di revisione della Costituzione e delle altre leggi costituzionali; per le leggi elettorali, con esclusione della legge elettorale per la camera; per le leggi in materia di organi di governo e funzioni fondamentali dei Comuni, delle Province e delle città metropolitane; per la legge su Roma capitale; per le leggi sul regionalismo differenziato (art. 116, terzo comma, Cost.); per le norme di procedura per partecipazione delle Regioni e delle Province di Trento e Bolzano alla formazione di normative comunitarie (art. 117, quinto comma, Cost.); per le leggi sui principi riguardo alle leggi elettorali regionali (art. 122, primo comma, Cost.), per l’ordinamento della finanza regionale e locale. 

Per quanto riguarda il tema della legge elettorale è da dire come esso sia inevitabilmente connesso al tema della forma di Governo. Il Gruppo di lavoro in parola propone a maggioranza, ove si dovesse optare per una forma di Governo parlamentare razionalizzata, più soluzioni, sempreché ciascuna di esse garantisca la scelta degli eleggibili da parte dei cittadini e favoriscano la costituzione di una maggioranza di Governo attraverso il voto. Lo stesso Gruppo di lavoro ha inteso, poi, precisare come, in presenza dell’attuale bicameralismo paritario, nessun sistema elettorale sarebbe in grado di garantire automaticamente la formazione di una maggioranza nelle urne in entrambi i rami del Parlamento. Diverse sarebbero le prospettive della stabilità nell’ipotesi in cui si dovesse attribuire l’indirizzo politico ad una sola camera. Il Gruppo di lavoro ha altresì segnalato come, in ogni caso, vada superata la vigente legge elettorale. In una tale prospettiva, la futura legge potrebbe far prevedere un sistema misto (in parte proporzionale e in parte maggioritario), un alto sbarramento implicito o esplicito ed eventualmente un ragionevole premio di governabilità. Infine, è stato proposto di eliminare le circoscrizioni estero, prevedendo il voto per corrispondenza, assicurandone la personalità e la segretezza.




7. Solidarietà e sussidiarietà nei rapporti finanziari tra gli Stati membri dell’Unione europea




Abbiamo avuto modo più sopra di sottolineare l’intervento del Presidente della Banca Centrale Europea riguardo alla necessità che le banche facciano prestiti a tassi ragionevoli alle famiglie e alle imprese, altrimenti potrebbero verificarsi gravi danni per l’Eurozona. Indubbiamente, gli improvvisi mutamenti delle politiche finanziarie nel contesto internazionale hanno portato a forti restrizioni creditizie e all’inaridimento delle ordinarie forme di finanziamento. Senonché, la situazione finanziaria italiana ha ottenuto, con gli adeguati interventi di riforme strutturali, una affidabile stabilità, per cui è da irresponsabili che non si pervenga a un mutamento nel veicolare liquidità alle aziende sane del manifatturiero, vittime incolpevoli della crisi di livello mondiale.

Per l’Eurozona si è dovuta constatare la fragilità della costruzione della moneta unica. E invero, si era pensato, nel 1992, con il Trattato di Maastricht di creare una moneta che potesse costituire uno strumento di solidarietà tra i diversi membri dell’Eurozona, e insieme uno strumento di indipendenza e di stabilità finanziaria nella mondializzazione.

Senonchè, la moneta unica si è rivelata un problema più che una soluzione tanto da diffondere l’idea di una possibile scomparsa dell’euro. Quest’ultimo avrebbe dovuto rappresentare la conseguenza di un’armonizzazione molto più ampia dei sistemi bancari, finanziari, industriali ed economici in generale. Ora, l’esistente presenta, nell’Unione europea, politiche fiscali e spese sociali molto diverse da un Paese all’altro, creando necessariamente uno squilibrio nelle finanze pubbliche secondo i contesti nazionali.

Detto questo, va osservato come i Paesi dell’Eurozona, avendo una stessa moneta siano impediti di fatto a fare gli aggiustamenti finanziari indispensabili allorquando il ritmo di sviluppo e i sistemi fiscali siano differenti. La gravità della crisi conduce oggi a considerare i problemi fondamentali relativi all’esistenza stessa dell’euro, che, a ben vedere, in qualche modo funziona, lo si voglia o no. Possiamo allora chiederci se il momento che stiamo attraversando possa definirsi soltanto come crisi finanziaria o, invece, come una crisi più ampia che suggerirebbe forse una rifondazione della stessa Unione europea. Certo, dopo la mondiale crisi finanziaria del 2009, la maggior parte dei Paesi europei si è resa conto che sarebbe stato necessario approfondire la dinamica comunitaria, ricomprendendovi il soccorso reciproco nei debiti pubblici o sovrani, la costituzione solidale di una sorta di Governo economico dell’organizzazione e l’applicazione di una politica economica e finanziaria comune. Molti cittadini europei non riconoscono più l’interesse di una dinamica europea insistente sul legame di solidarietà tra le nazioni unite. Si è parlato addirittura di una dissoluzione psicologica dell’Europa, intesa nel senso che i cittadini dei Paesi membri avrebbero paura di perdere la propria identità, la propria autonomia, la propria capacità di decisione. È divenuta così, in un certo senso limitata la loro fiducia nelle istituzioni europee, avendo spesso identificate queste ultime con il processo di globalizzazione, con un liberalismo illimitato dei mercati, con il fenomeno delle delocalizzazioni industriali, ovvero con l’elevato tasso di disoccupazione in molti degli stesso Paesi membri dell’Unione.

L’opinione dei cittadini europei sembra attestarsi sulla considerazione secondo la quale l’Unione darebbe l’impressione di interessarsi di tutto, dalla data di apertura della caccia alle diverse colorazioni dei giochi dei ragazzi. Si è venuta a determinare una confusione tra ciò che dipende effettivamente da Bruxelles e ciò che dipende dalle decisioni nazionali. Occorre, pertanto, che siano ben comprese le articolazioni tra solidarietà e sussidiarietà, dato che esse presentano frontiere fluide che i Governi non sanno sempre spiegare. Ebbene, ci sono settori come la cultura, l’educazione, la sicurezza sociale e altri che restano comunque di competenza nazionale: in essi ogni Stato membro conserva la sua autonomia. Cosicchè, la sussidiarietà vieta all’Unione di impicciarsi di queste politiche nazionali. Viceversa, ogniqualvolta il tratto comunitario presenti soluzioni migliori a fronte di una sfida politica, nonché quando il bene comune europeo imponga oggettivamente una risposta unica, la competenza dell’Unione è senza dubbio giustificata, proprio perché tale competenza risponde a una giusta applicazione del principio di solidarietà. 

Sulla base delle considerazioni che precedono, possiamo affermare come, il futuro dell’Europa debba fondarsi sulla capacità delle comunità di mantenere viva la solidarietà nei settori – oggi principalmente finanziari – di applicazione di tale principio, e di esercitarla insieme. Occorre, perciò, diffondere una spiegazione più ampia e più precisa del principio di sussidiarietà nonché della sua applicazione. I cittadini europei sembrano temere, infatti, che si impongano loro leggi e costrizioni inutili nella vita concreta. La confusione tra i principi di solidarietà e di sussidiarietà, e tra le loro applicazioni, risulta fortemente negativa nella stessa Unione europea. La conseguenza di ciò potrebbe condurre a ritenere che l’impegno di solidarietà finanziaria svanisca a causa della paura della scomparsa della sussidiarietà. 


RIASSUNTO

Dopo le elezioni politiche del 24 e 25 febbraio 2013, il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, incaricava il Segretario del partito Democratico, Pier Luigi Bersani, di verificare l’esistenza di una maggioranza parlamentare anche in seno al Senato per ottenere la fiducia a un eventuale Governo da lui presieduto. Di fronte alle difficoltà riscontrate da Bersani riguardo a quella maggioranza, i Capo dello Stato assumeva l’iniziativa di costituire due Gruppi di lavoro, rispettivamente, sulle riforme istituzionali e in materia economico-sociale ed europea. In data 12 aprile 2013, gli "esperti" nominati nei predetti Gruppi presentavano le rispettive relazioni finali in adempimento al compito di misurare, sulle questioni affrontate, i livelli di convergenza e i punti di divergenza con lo scopo di facilitare un ampio consenso tra le forze politiche presenti in Parlamento. L’Autore dà atto dei risultati ai quali sono pervenuti i cosiddetti "facilitatori", collocando il tutto nell’ambito dell’attuale crisi politica, economica, sociale e finanziaria, nella quale versa l’Italia.